venerdì 26 febbraio 2016

Una finestra sul vuoto

Sono le 03:42 di notte.
C'è un silenzio confortante che spezzo con un po' di musica.

Parto con un pezzo dei Sigur Ros, Olsen Olsen; mi rilassa.


Mentre ascolto la canzone, immagino la luce dello schermo del PC che mi disegna spigoli neri sulla faccia. Vedo chiaramente le radiazioni che mi sciolgono la pelle, l'elettricità che viaggia nei circuiti dopo ogni colpo sulla tastiera. 

Invidio chi scrive ancora a mano, chi sorride quando trova un segno d'inchiostro sulle dita, chi in questo momento respira aria pulita.

L'aria è viziata, non apro perché fuori si gela. Preferisco respirare aria viziata che aria fredda.
Penso che se ci fosse qualcuno dall'altra parte dello schermo, la mia faccia lo spaventerebbe a morte. La mia faccia controluce è abbastanza spaventosa.


Il secondo pezzo che ascolto è di Gary Jules. Mad World è la penultima della lista. La lista è fatta di tre canzoni che ascolto consecutivamente e sempre nello stesso ordine prima di andare a dormire; è una sorta di rituale. Non dormo se prima non faccio il mio rituale. Serve a rilassarmi, a farmi passare il malumore, quello che puntualmente arriva dopo che finisco di scrivere. Dopo che ho finito di scrivere, mi sento svuotato, forse anche un po' stanco. Dopo che ho finito di scrivere, mi pongo diverse domande, per lo più stupide. Ad esempio mi chiedo perché ho passato queste due ore a scrivere. Non riesco mai a spiegarmelo, quasi fosse un atto naturale, involontario, senza il quale so di non poter vivere. 

Mi chiedo se ho mai amato veramente qualcuno. Se non è stato, in realtà, amore verso ciò che provavo, piuttosto che amore per l'altro. In fondo viene tutto da dentro, anche gli stimoli esterni; viene tutto da dentro. Questo siamo. Siamo contenitori che cercano di esternare quello che custodiscono all'interno. Penso che se siamo dei contenitori, allora ci deve essere per forza qualcuno che ha meno da esternare, penso che c'è anche qualcuno che magari ha poco e niente da mostrare. E avendo poco e niente, uno dà quel che può e si sente già soddisfatto, quindi felice. 


Mi chiedo, adesso che parte l'ultimo pezzo, perché questa finestra è improvvisamente vuota. L'ultimo pezzo è Hurt, di Johnny Cash. Questa finestra da cui guardo è vuota, si affaccia nel vuoto, quando fino a poco fa, dalla stessa finestra, guardavo delle montagne. Guardavo dei fiori. Guardavo delle persone, degli animali, guardavo il cielo e le nuvole e le stelle. Poi ho smesso di scrivere e questa finestra si è spenta. Adesso è una finestra che da sul vuoto. 

Penso che il vuoto un po' mi rispecchia. Se ne sta lì a far niente come me. Se ne sta lì a osservare, come me. Se ne sta lì immobile, a non credere in niente, ad attendere qualcosa, qualsiasi cosa. Ad aspettare che qualcuno lo attraversi. Che qualcuno veda in lui un luogo in cui costruire, un luogo da colonizzare, da riempire. Il vuoto mi fa sentire meno solo. 

Poi spengo lo schermo e mi metto a dormire.  


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