domenica 31 luglio 2016

Lettera a tutto ciò che ho abbandonato

A voi non servono le mie scuse; di quelle ne ho bisogno io. 
È che va così. 
Perdo subito interesse o amo per sempre; non c'è una via di mezzo. 
Certe cose non le controlli. 
Certe cose, per quanto ci provi, vanno così e basta. Anche quelle che hai iniziato tu. 
Le inizi e le finisci, e nel mezzo c'è sempre una vittima innocente. 
Delle volte sei tu, altre io; spesso nessuno dei due. Intervengono terzi, pretesti, vittime inconsapevoli. 
Se penso alla prima cosa che ho abbandonato nella mia vita, mi viene in mente un pupazzo di plastica senza volto. 
Forse era un personaggio della Disney. Avevo pochi anni, sei o sette. 
Di solito non ricordo granché della mia infanzia. 
Di solito non ricordo granché di niente. 
Però quel pupazzo vive ancora nella mia memoria, seppur vagamente. 
L'ho abbandonato al mare perché ne trovai uno più bello. Uno più colorato. 
Ti chiedo scusa. 
Poi, con la consapevolezza del futuro, ho abbandonato il mio sogno più grande; diventare un poliziotto. 
Da piccolo odiavo la criminalità, che nella mia ancor più piccola visione del mondo si limitava al bullismo. 
Volevo arrestare i bulli delle scuole elementari. 
Se penso alla scuola media, durante il primo anno ho abbandonato il primo falso amore per un altro ancora più falso. 
Ancora più impossibile. 
Dopo la scuola media ho abbandonato altri sogni. L'archeologo. Il pittore. L'architetto. 
Io lo volevo fare davvero, l'architetto, ma l'architettura è tutto un inganno. 
Si mostra agli occhi come un'espressione di libertà e anarchia e quando la assaggi ti accorgi che in realtà ha un sapore amaro,
che sa di canone e regole da rispettare. C'è a chi piace; a me non piaceva, quindi ho abbandonato. 
Mi spiace anche per te. 
Ho abbandonato studi, opportunità, qualche amicizia ostacolata dalla distanza, altri falsi amori. 
Ho abbandonato i miei stessi ricordi. 
Prima di scrivere questa lettera ero convinto di essermi lasciato poco o niente alle spalle. 
Invece ora mi accorgo di aver abbandonato un sacco di idee, libri scritti a metà, testi personali e parole solitarie. 
Ho abbandonato la mia fede in Dio. Ho abbandonato la voglia di riprovarci.
La voglia di dialogare con lui. 
Di ricrearlo. Un'immagine di conforto. 
Un bastone, un sostegno, una parete tra il nulla e il tutto.
Ho abbandonato la voglia di combattere. Di agire. Di cambiare il mondo. 
Penso che tutti vorrebbero cambiare il mondo ma il problema principale è che lo vuoi perché non sai come farlo. 
Non sai in cosa cambiarlo. Si ama semplicemente l'idea. 
Nel tempo ho capito che il dolore è il catalizzatore dell'abbandono. 
Basta che qualcosa mi faccia un po' del male e la lascio lì, sull'autostrada della vita. 
Basta che qualcosa minacci l'ispirazione, la tranquillità e la pace. 
La scrittura è l'eccezione che conferma la regola. 
Lei mi fa del male in mille modi diversi. 
Cambia tortura ogni giorno, ogni ora e parola. 
Mi toglie la fame, la compagnia, i desideri umani, la voglia di essere umano, di amare, di odiare; mi priva di tutto. 
Mi svuota completamente. 
Ho abbandonato il meno peggio per il peggiore dei mali. 
Sono un ostaggio, un martire, perché tutti abbiamo un carnefice; ed il mio è la scrittura.