Poiché la data per il rilascio del quarto capitolo della saga è ancora imprecisa e lontana, voglio regalare a chi ha già letto la trilogia "Il desiderio di cambiare il mondo" (che è il titolo "segreto" della prima parte della saga) il primo capitolo del quarto libro "Dal diario di Moga"
Questo libro torna indietro di oltre cento anni, quindi molto prima delle vicende narrate nella trilogia.
Gheler l'esploratore
Dal diario di Moga
1) Maedo Olen Gheler Aermidia
Aglan brillava di
luce propria quel giorno. Le sue bianche vie erano ricoperte di drappi
d’argento catturati dal vento, le balconate erano gremite di gente in festa e
l’aria profumava dei petali che rivestivano la strada della corona. I soldati
sorridevano, questo è vero, ma nessuno di loro aveva in realtà voglia di
festeggiare. Alcuni avevano perso un amico, altri un braccio o una gamba, io
avevo perso cento dei miei uomini eppure, così come l’eseguire gli ordini del
re, anche sorridere dinanzi al popolo faceva parte dei miei doveri di generale.
Era l’anno del dio che non muore, Maedo Darsiark, un
generale del passato che nonostante le mortali ferite riportate in più
battaglie era sempre riuscito a sopravvivere. Il re in carica era mio zio lord
Brada, fratello della mia defunta madre e primo Galvat a sedere sul trono della
giovane e potente Nuria. Era stato lui ad allevarmi e a educarmi nell’arte
della guerra e del comando poiché, ammetteva ogni singola volta, si sentiva in
colpa per la morte di mio padre avvenuta nella sua famosa guerra per il trono.
Quando la strada della corona finì, le porte che conducevano
al castello si aprirono scricchiolando e rivelando un corridoio di persone
urlanti di gioia. Si trattava dell’intera servitù e corte, c’era Dardu il capo
delle cucine che sovrastava tutte le voci, Argo il maestro d’armi che si ergeva
silenzioso e immobile come un palo di fianco alla sua grassa moglie, Darv il
bardo che già cantava le mie ultime gesta e un’intera flotta di damigelle che
strillavano il nome di Gheler Aermidia, così tutti mi chiamavano a quell’epoca.
Una dozzina di stallieri afferrò le redini dei cavalli e aiutò me e i miei
dieci sottoposti a scendere dagli stanchi e spossati destrieri.
«Gheler, signore, lord Brada vi attende con ansia nella sala
scarlatta. Seguitemi pure» disse una delle guardie.
«So dov’è» ribadii, «restate pure al vostro posto. Beriador,
venite con me, voi altri siete congedati, potete tornare dalle vostre famiglie»
«Vi ringrazio mio Olen» Olen Dermar è il vero Dio della
guerra, il prescelto dei preti rossi, quindi il generale che molti anni prima
portò alla completa estinzione gli elfi nella battaglia di Agat. Mio Olen, in
altre parole, significa mio Dio della guerra e solo i generali che non hanno
mai perso una battaglia hanno diritto a quel titolo.
Quando entrai nella sala scarlatta lord Brada e i suoi
dodici consiglieri anziani mi accolsero con un caloroso applauso.
«Eccolo!» urlò il re, «il degno figlio del grande generale
Zoiro. Sette battaglie, sette vittorie, e questo a soli vent’anni»
«Sto solo seguendo le vostre orme, mio signore, ma la strada
è ancora lunga» Brada si avvicinò ridendo e mi scompigliò i capelli con la
mano, salutando solo in seguito e con fredda cortesia anche il mio scudiero
Beriador.
«Lunga e irta di pericoli, questo è vero, ma il popolo ha
cominciato a chiamarmi con l’appellativo di Maedo solo tre anni fa! Dopo questa
vittoria per Aglan, figliolo, sei diventato ufficialmente Maedo Olen Gheler
Aermidia, un nome imponente!»
«Io... ecco, ho fatto solo il mio dovere» il titolo di Maedo
invece è assegnato dal popolo, quando questo capisce di non poter fare a meno di
una certa persona, comincia a desiderare che non muoia mai proprio come
l’omonimo Dio.
«Giovane, bello, forte e pure modesto!» incalzò uno degli
anziani.
«Se solo i tuoi genitori potessero vedere cosa stai
diventando per questo regno. Ancora piango per tua madre, così giovane, così,
innocente. La maledizione degli Agatiani continua a mietere le sue vittime
anche dopo tutto questo tempo»
«L’odio è difficile da estinguere, al contrario dell’amore e
della fiducia»
«Giovane, bello, forte, modesto e pure intelligente. Adesso
capisco perché mia figlia ha scelto te» quelle parole mi fecero arrossire e
lord Brada, dinanzi quella reazione, non fece altro che ridere ancora più
forte. «Certo è ancora giovane e ingenua ma è pur sempre la mia primogenita,
destinata a diventare la regina di Nuria. Tu ed io però abbiamo fatto un patto,
otto vittorie nel nome di lord Brada per la sua mano, quindi ti resta ancora
una battaglia da vincere e avrete entrambi la mia benedizione»
«Non chiedo di meglio che rendervi onore, mio re»
«Avanti, raccontami tutto nei minimi particolari» mi pregò
accomodandosi sulla sua regale sedia.
«Morvar vi è di nuovo fedele. Il suo barone aveva schierato
una buona ma poco numerosa difesa, l’assedio è durato circa sei mesi e quando
malattia e fame hanno cominciato a fare strage tra la sua gente, Moido ha
deciso di arrendersi. In verità lui sperava nel supporto immediato da parte
della città di Dria, come avevate previsto voi, ma a giudicare dalla noia che
regnava tra i nostri accampamenti, devo ammettere che Onnu il cannibale ha
fatto un buon lavoro»
«Recentemente ci sono state recapitate lettere da parte sua»
m’informò il re, «il signore di Dria ha ammesso la sua colpa e ha giurato
fedeltà alla corona. Tra qualche giorno il distruttore farà ritorno ad Aglan
con uno dei suoi figli come garanzia per la sua lealtà. Il tuo dono, invece?»
«Moido? Mi sono preso la libertà di giudicarlo colpevole. È
stato il boia della sua stessa città a decapitarlo. La sua famiglia, in seguito
alla condanna, è fuggita da Morvar con un paio di cavalli e qualche misera
riserva di cibo e adesso alla guida della città c’è vostro cugino Iaren» lord
Brada annuì e si carezzò la corta barba, picchiettando le dita contro il
tavolo.
«Molto bene, un’altra ribellione estirpata alla radice. Loro
ne sono incoscienti, ma ci stanno facendo un favore, ci offrono su un piatto
d’argento il giusto pretesto per spodestarli e in seguito porre sui loro troni
membri fedeli ai Gadna. Ottimo lavoro, Gheler, chiedi pure tutto quello che
desideri come ricompensa»
«Io... mi basta la vostra gratitudine, Maedo. E, se
possibile, anche cenare con vostra figlia Teana questa sera, è da lungo tempo
che non ammiro il suo sorriso»
«Nessun problema, la informerò io stesso, prima però fatevi
un bagno e rendetevi presentabile» e con una forte pacca sulla spalla mi
congedò.
Ricordo l’entusiasmo e la felicità che provai quando varcai
la soglia della mia stanza. Era grande, profumata e riccamente arredata, quello
che più si avvicinava al mio concetto di casa. Con Beriador avevamo in comune
solo il corridoio e la sua stanza era molto meno regale della mia, per questo
molte volte gli concedevo di pranzare insieme. In fondo io e lui condividevamo
gli stessi dolori, passati e presenti, per questo entrambi siamo sempre stati
felici della compagnia dell’altro.
Beriador era stato portato ad Aglan come prigioniero all’età
di otto anni. Primogenito dei signori ribelli di Velda, aveva assistito all’esecuzione
dei propri genitori per poi finire nelle cucine come lavapiatti. Nonostante
l’età aveva già imparato a usare la spada così, quando a dodici anni un soldato
ubriaco, poco divertito dalla serata, ebbe l’ardire di sfidarlo a duello,
Beriador vinse. Lord Brada, che aveva assistito a tutta la scena, gli ordinò di
uccidere la guardia e lui obbedì. Ammirato da tanta lealtà, il re decise che
sarebbe diventato il mio scudiero. All’inizio litigammo spesso e con violenza
anche, poi la morte di mio padre e in seguito quella di mia madre rafforzò la
nostra amicizia.
Non appena fui presentabile, una delle ancelle di Teana bussò
alla porta. Si chiamava Dori, non che m’importasse ovvio, ma il motivo per cui
ricordavo il suo nome era Beriador. La ragazza lanciava spesso occhiate
interessate al mio scudiero così, quando con gentilezza mi pregò di raggiungere
Teana, la spinsi con forza all’interno della camera e mi serrai la porta alle
spalle. «Fate piano» le dissi ridendo, «ha una ferita alla gamba che ancora gli
duole!»
Teana aveva l’età di Beriador, diciassette anni, eppure ne
dimostrava almeno venti. Era bella, alta, capelli neri come nuvole cariche di
pioggia e occhi verde smeraldo. Quella sera indossava un abito rosso fuoco con
dozzine di fiori d’oro ricamati sul corpetto. Quando mi vide presentarle un
mazzo di rose, scoppiò in lacrime e si gettò tra le mie braccia, singhiozzando
per almeno altri venti minuti.
Una volta che i servi ebbero apparecchiato la tavola e
servito il vino, la principessa si asciugò le lacrime e attese con ansia il mio
primo morso.
«Buono» ammisi, «avete cucinato voi questo pesce?» la
domanda la fece ridere. «Finalmente, mi mancavano i vostri sorrisi. Non
fraintendetemi però, vi faccio questa domanda perché, beh, sembrate attendere
con ansia un mio giudizio al riguardo»
«Sono la futura regina di Nuria, i nemici della corona
potrebbero avvelenare i miei piatti, per questo aspetto sempre che sia qualcun
altro a dare il primo morso» in quel momento non riuscii a scrutare il confine
tra ironia e serietà, per questo la mia faccia confusa la fece ridere un’altra
volta. «Stupido. È da sei mesi che non ci vediamo, credete davvero che io abbia
fame di cibo?»
«La servitù ci osserva» l’avvertii. «Vostro padre non ci ha
ancora dato il suo favore» a quelle parole posò con violenza le posate sul tavolo,
costringendomi a lasciare nel piatto il secondo pezzo di salmone.
«Mi ha detto del vostro patto, è una cosa stupida»
«È il volere del re vostro padre»
«Solo perché vi è andata bene fino ad ora, non vuol dire che
sarà sempre così. La guerra è una cosa pericolosa ed io non voglio perdervi,
mio Maedo»
«Vi prometto che non succederà, adesso però scusatemi ma non
tocco cibo da questa mattina» le dedicai un largo sorriso e continuai a
mangiare, divorando anche la maggior parte delle sue portate.
«Rischiate la vita per me, o per il trono?» mi domandò a
fine pasto spiazzandomi del tutto. Tossii un paio di volte e scolai il
bicchiere di vino per non strozzarmi, rassicurandola con la mano che presto
avrei soddisfatto quella sua assurda curiosità.
«Rischio la vita per il regno» la risposta la irritò a tal
punto che la sua faccia assunse un’espressione quasi demoniaca. «E per voi»
aggiunsi infine, «tuttavia il pericolo ci sarà anche quando saremo sposati. Se
il mio senso del dovere verso Nuria e verso il re non fosse così grande, vi
avrei già rapita tempo fa» con quelle ulteriori parole riuscii per fortuna a
calmarla.
«D’accordo, ammetto che questa volta ne siete uscito
indenne. Mettiamo che questo vostro senso del dovere non sia così grande come
dite, e che quella finestra sia al piano terra, come agireste?» il gioco sembrò
divertirla così allontanai con violenza la sedia dal tavolo e mi gettai su di
lei, atterrandola e stuzzicandola con del solletico fino a quando, con lacrime
di gioia sugli occhi, non mi pregò di smetterla.
«Getterei voi dalla finestra e poi farei il giro dalla porta
per raggiungervi, dopodiché, ruberei un solo cavallo e vi porterei oltre tutte
le mura di Aglan fin nelle terre inesplorate, attraversando le montagne di
fuoco e passando a fil di spada tutti gli Orghen con abbastanza coraggio da
tentare di fermare la nostra corsa»
«Bene, signor Maedo Olen Gheler Aermidia, credo proprio che
vi siate meritato un bacio» non mi è ancora chiaro se quello, da parte mia,
fosse amore o semplice e spietato interesse verso il trono, l’unica cosa certa
era la felicità, ero felice della mia vita, felice di tutti i miei titoli,
della mia importanza a corte, di Teana e di quanto sarebbe potuto diventato
rigoglioso il mio futuro restando al suo fianco. Insomma, il popolo mi amava,
lord Brada Gadna mi adorava quasi come fossi un suo diretto discendente,
persino i consiglieri anziani di cui il re si circondava avevano sempre belle
parole da proferire riguardo al figlio di Zoiro Aermidia, fratello della regina
Duna.
Non esiste cosa più crudele della propria invisibile
ingenuità.
Il giorno seguente uscii a cavallo insieme a Beriador per
attraversare gran parte della zona alta di Aglan. In realtà non avevamo uno
scopo o commissioni da svolgere, semplicemente a entrambi piaceva l’entusiasmo
con il quale la gente ci salutava e acclamava. In quei giorni di pace e
serenità si registrò addirittura un picco all’anagrafe dell’uso del nome
Gheler, perché in città non si parlava d’altro che delle mie sette consecutive
vittorie. Qualcuno riuscì addirittura a intuire il mio legame con Teana e
quindi a spargere la voce di una mia possibile futura scalata al trono.
«Signor Gheler, mio Maedo!» salutavano le donzelle. «Buon
giorno, mio Olen» dicevano le guardie. «Per voi, Maedo, prendete!» mi pregava
tutte le volte la signora Fio porgendomi una delle sue più succose mele dei
campi di Bride il povero. «È Gheler! Il grande generale Gheler!»
Alcuni ad Aglan mi chiamavano addirittura portatore di pace
nonostante la lama insanguinata che portavo sul fianco, mentre i preti rossi,
che erano a conoscenza di come quella pace fosse stata raggiunta, consideravano
la mia persona insieme a quella di lord Brada come il braccio e la mente di un
unico dio della guerra. Per un giovane e ingenuo cuore come il mio, essere
paragonato al proprio idolo non fece altro che generare felicità e motivi di
vanto, in altre parole la causa della mia reale cecità.
Tre giorni dopo il ritorno ad Aglan mi fu recapitata la
lettera con la quale il re, tutte le volte, m’invitava a corte per discutere
della mia successiva battaglia. Quel pezzo di pergamena arrotolato che Beriador
aveva soprannominato corvo nero, era sempre stato l’inizio di una campagna
militare. Non era né scritto né sigillato e l’unico riferimento a lord Brada
era proprio questo, il suo profondo odio verso tutto quello che aveva la
capacità di perdurare nel tempo. “Le parole sono pericolose” soleva sempre
dire, “soprattutto quando non possono essere cancellate da un sorriso”
«Questa cosa non mi piace» puntualizzò Beriador mostrandomi
il corvo nero. «Siamo appena tornati, di solito ci concede almeno due mesi di
riposo»
«Forse riguarda Onnu il cannibale»
«O forse riguarda l’ennesimo barone che crea problemi al re
vostro zio»
«Le uniche città non ancora totalmente “purificate” sono
Gora e Odrat, che già due anni or sono giurarono fedeltà ai Gadna»
«Forse questa volta si tratta di villaggi»
«Ne dubito, ma anche se fosse come dici, Lord Brada non
farebbe di certo scomodare il grande Maedo Olen Gheler Aermidia. Seminare
distruzione tra la povera gente infangherebbe il mio nome, il nome del futuro
erede al trono!»
«Non per offendervi, mio signore, ma se io fossi re non
permetterei mai a un discendente di un’altra famiglia di sedere sul trono»
«Che cosa, che cosa state farneticando?»
«Conosco Lord Brada quasi quanto voi ormai, dubito, dopo
tutto il sangue versato, che cederà così facilmente il trono»
«State osando troppo, Beriador. Ricordate qual è il vostro
posto e provate almeno per una volta a onorarlo» ero così accecato dalla mia
stima verso Brada che riuscii per la prima volta a ferire volontariamente e con
gusto il mio scudiero.
«Sì, avete ragione, perdonate la mia insolenza, vi prego»
«Indossate un abito adatto alla presenza del re e seguitemi,
vi aspetto qui fuori» uscii dalla stanza sbattendo la porta e indossai la
sfarzosa cintura regalatami da Lord Brada in seguito alla mia penultima
vittoria. Infine mi sistemai capelli e farsetto e, quando Beriador fu pronto,
attraversammo i lunghi corridoi del castello che portavano alla sala scarlatta.
Quando il re mi vide entrare il suo volto s’illuminò di
gioia e serenità. Io sorrisi a mia volta, inchinandomi con cortesia e
avvicinandomi al gruppo di uomini che lo circondavano. C’erano, oltre ai soliti
anziani, tre generali nelle loro sgargianti armature d’oro. Essendo il primo
generale di Aglan, titolo conquistato meno di un anno prima da quella settima
vittoria, ne avevo anch’io una ma preferivo non indossarla nei colloqui con il
re.
«Aermidia, accomodati pure» mi pregò Brada indicandomi la
sedia al suo fianco. «Signori, immagino voi conosciate il qui presente primo
generale di Aglan»
«La sua fama lo precede» assicurò uno degli uomini, quello
più vecchio e barbuto.
«Loro sono Guro Dereia, generale di Azan, l’avamposto nelle
pianure di sangue» e indicò il vecchio barbuto, «Torv Oiama generale delle
difese di Gotaeldarv» quindi l’uomo pelato dal ventre prominente, «e Dreno
Urtia, generale di forte Nedal» il ragazzino dall’aria ingenua ma dal fisico
scolpito. Anche se ancora non conoscevo il motivo della loro visita, la cosa mi
preoccupò comunque.
«Molto onorato» continuò Guro, «sono davvero felice di fare
la vostra conoscenza. Non è cosa facile raggiungere fama e gloria in così
tenera età. Vi svelo un segreto, Lord Brada vostro zio, a vent’anni, non era
riuscito a conquistare neppure l’appellativo di Olen»
«Andiamo smettila di ridicolizzarmi, Guro, vecchia canaglia,
è pur sempre mio nipote!»
«La mia stima verso il nostro re non ha limiti» intervenni
in sua difesa nonostante le risa ironiche dei due. «Non esiste diceria che
possa ai miei occhi ridicolizzare la vostra immagine, sire»
«Hai sentito vecchia canaglia? Ma adesso basta scherzare,
passiamo alle ragioni dell’incontro. Guro, comincia tu»
«D’accordo» il vecchio si alzò e cacciò da una sacca delle
pergamene, le studiò per qualche secondo e, infine, quando trovò quella che gli
interessava, la srotolò, mi guardò come se fossi l’unico nella sala e cominciò
a parlare. «L’avamposto di Azan è stato fondato circa trenta anni fa, con lo
scopo di spiare le paludi, il Sialden e Bale. Al popolo è stato detto che
Nuria, grazie a quella base militare, potesse trovare delle collaborazioni
pacifiche con le altre razze ma sono dicerie false o poco vere. In realtà
questo è il noioso compito di studiosi e pensatori e serve solo a mascherare il
vero obiettivo. Da quando le segherie hanno cominciato a recidere Ledah, le
ribellioni sono diventate sempre più grandi e sanguinose, nell’ultimo mese
abbiamo perso ventitré uomini, in quello passato quasi quaranta. Ho qui i loro
nomi» assicurò mostrandomi la pergamena. «Insomma, l’avamposto serve a
mantenere la pace e a trattenere le richieste d’aiuto degli Etne verso Bale.
Abbiamo intercettato loro diversi messaggi, leggetene pure qualcuno» afferrò le
restanti pergamene e me le lanciò. La scrittura degli Etne era molto diversa da
quella Nuriana, ma sotto ogni simbolo uno scriba aveva tradotto tutto il
messaggio.
«Dalea Garden» diceva la prima riga.
«È una frase criptata che i due re usano per dire all’altro
che quelle parole sono affidabili, una specie di firma» spiegò Dreno Urtia.
«Il sud del Sialden è sotto attacco, Nuria sta recidendo
avidamente i nostri Ledah mietendo numerose vittime. Ogni anno catturano cento
tra donne e bambini come ostaggi che poi rilasciano vivi quello successivo in
cambio della nostra resa militare. Tra gli ostaggi c’è sempre il figlio del re
e dei suoi consiglieri, per questo nessuno ha il coraggio di infrangere le
regole di Nuria. Alcuni si ribellano di propria volontà ma non fanno molta
strada, l’avamposto è pieno di soldati ben addestrati, abbiamo bisogno di
aiuto» quelle parole mi sconvolsero, non sapevo niente di tutto ciò, il re non
me ne aveva mai parlato nonostante fossi il suo pupillo, il suo primo generale.
In preda a una sorta di senso di colpa afferrai una seconda pergamena e poi una
terza, volevo trovare una conferma a tutta quella crudeltà, non poteva essere
vero, Lord Brada era un uomo d’onore. Certo, le sue leggi e il suo modo ferreo
di guidare Nuria potevano quasi ammettere il contrario ma quale re con un
minimo di senso del dovere non governerebbe un grande impero con la forza e la
paura?
I messaggi del Sialden erano sempre più disperati, sempre
più sporchi di sangue.
«Io...» balbettai, «non capisco»
«Ascoltami, ragazzo. Voglio essere sincero con te, nel nome
della mia cara sorella Dana. Nuria ha bisogno della legna di quei Ledah, non
possiamo permettere che gli Etne si ribellino, capisci vero? L’avamposto di
Azan è sotto costanti minacce e necessita di un nuovo generale. Non che Guro
non ne sia più all’altezza, ma il suo tempo è quasi finito»
«In altre parole» intervenne il vecchio, «viste le vostre
straordinarie capacità, ho deciso, con il consenso del re, che per un po’ di
tempo sarete un mio sottoposto»
«E se Guro ti riterrà adatto al compito, ha l’ordine di
nominarti generale dell’avamposto» quella notizia mi sconvolse tanto da
spezzarmi la voce. Non per l’inaspettato risvolto, non per l’inattesa
possibilità di diventare generale di Azan, quanto per la promessa andata in
fumo, quella di sposare Teana alla mia ottava vittoria.
«Ma, mio signore, io, ecco...» balbettai in preda al panico.
«Immagino tu sia sconvolto e ne comprendo le ragioni, ma
dovresti, per lo meno e in egual misura, esserne soprattutto onorato. È un
posto di prestigio»
«Ma la nostra promessa e, Teana...»
«Calma, ragazzo, calma, stai mischiando male le carte e mi
stai offendendo. Hai mai visto Lord Brada non mantenere la parola data?»
dissentii con la testa, confuso e spaventato. «Ho intenzione di nominarti re,
Gheler, ma prima di arrivare al trono devi percorrere molte altre strade.
Diventare generale di Azan sarà la tua ottava e ultima vittoria, dopo la quale
ti permetterò di sposare Teana e di diventare il legittimo erede al trono di
Nuria» il suo sorriso riuscì in qualche modo a rassicurarmi. Sì, Lord Brada non
mi aveva mai deluso, così mi convinsi che sarebbe andato nel medesimo modo
anche quella volta.
«Sì, perdonate la mia stupida reazione. Onorare voi è la
cosa che più mi rende felice»
«Molto bene!» tuonò Guro, «preparate i bagagli, ragazzo, si
parte fra meno di due settimane»
«E per quanto riguarda Beriador?» domandai.
«Beh è il vostro scudiero, non so, a vostra discrezione,
fate come credete sia meglio per voi» tra me e Beriador ci fu uno scambio di
parole, più che di sguardi, istantaneo.
«Oltre che un bravo scudiero, è anche molto abile con la
spada. Credo possa essere utile all’avamposto più di quanto lo sia a me come
scudiero»
«E sia» decretò infine il re. «Farai gran parte della strada
anche in compagnia degli altri generali, così avrai tempo di conoscerli al
meglio. Non abbiamo altro da aggiungere, potete ritirarvi»
Quando entrai nella stanza, le gambe mi cedettero e Beriador
riuscì ad afferrarmi prima che cadessi del tutto.
«Gheler, cosa vi succede?»
«Niente» mentii, «niente»
«Siete molto debole e, pallido. Vado a chiamare...»
«...no! No, sto, sto bene» ma a Beriador bastò guardarmi
negli occhi per capire quel’era la verità.
«Fisicamente forse sì» ammise. «Ma non nella vostra mente. È
per via del nuovo e assurdo compito che il re vi ha affidato, vero?»
«Per un attimo ho temuto che, ecco, che le vostre parole di
poco fa potessero avverarsi. Per un attimo ho dubitato di Lord Brada, ma per
quanto io sia sicuro che terrà fede alla promessa data, non riesco a non avere
paura. Sottoposto del generale di Azan, questo compito ci porterà via molti
anni, Beriador, e se mai dovessi diventarlo io stesso...»
«In quel caso diventerete re»
«Erede, ha detto che diventerò il legittimo erede al trono,
non il legittimo re. Inoltre speravo di poter passare più tempo con Teana, due
settimane sono troppo poche» raggiunto il letto Beriador mi aiutò a sdraiarmi e
mi rimboccò addirittura le coperte, controllando infine che non avessi la
febbre.
«Vi preparo qualcosa di caldo»
«Voi ci sarete sempre, vero Beriador? Ho anche temuto che il
re non vi permettesse di seguirmi»
«Ma certo, mio Maedo, per voi ci sarò sempre. Vi aiuterò in quest’arduo
compito, ve lo prometto. Adesso però riposate»
«Teana, Lord Brada, Azan...» balbettai prima di svenire.
- Gheler l'esploratore - Dal diario di Moga
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